sabato 21 febbraio 2009

sabato 14 febbraio 2009

FINE DISEUSE

Bien que je ne parle bien
Meme si j'écris rien
Ce que je n'aime pas
Ce sont les papas
dressés en Paglietta

mercoledì 11 febbraio 2009

DICETTE O' PAGLIETTA

Ll'avvocato fesso è cchillo ca va a leggere dint' a 'o codice. Ad litteram: l'avvocato sciocco è quello che compulsa il codice. Id est: non è affidabile colui che davanti ad una questione invece di adoprarsi a comporla pacificamente consiglia di adire rapidamente le vie legali; ad ulteriore conferma dell'enunciato in epigrafe, altrove - nella filosofia partenopea - si suole affermare che è preferibile un cattivo accordo che una causa vinta, ed ancora più ad una causa persa. Entrambe - certamente - più dispendiose e lungamente portate avanti rispetto all'accordo.

Dicette 'o paglietta: a ttuorto o a rraggione, 'a cca à dda ascì 'a zuppa e 'o pesone. Ad litteram: disse l'avvocatucolo, si abbia torto o ragione, di qui devon scaturire il pasto e la pigione. Id est: non importa se la causa sarà vinta o persa, è giusto assumerne il patrocinio che procurerà il danaro utile al sostentamento e al pagamento del fitto di casa. Oggi il proverbio è usato quando ci si imbarchi in un'operazione qualsiasi senza attendersene esiti positivi, purché sia ben remunerata.

Antimo Sebezio Motti e detti napoletani

lunedì 9 febbraio 2009

L'OCA DI MONGRENO

“Signor Giudice, Anacleto Merlino mi ha denigrato dandomi del ‘paglietta’ !”

“Ah, si ? L’ha fatto in pubblico ?

“ No, in privato: in privatissimo. Non lo sapeva nessuno fino a che non mi sono messo a strillarlo io a tutti.

“ E perché Anacleto Merlino Le mai avrebbe detto una simile nefandezza ?”

” Perché ho fatto causa a mio fratello per avere 108 euro che non mi doveva ma ho sbagliato le addizioni e non posso più correggerle !”

“ Ma davvero ? veramente Avvocato lei ha fatto causa ad un gufo dei cartoni animati per avere soldi da suo fratello che non gliene doveva anzi ne avanzava, e ha consegnato tutto il fascicolo in cancelleria con le addizioni sbagliate a proprio favore senza accorgersene ? “

“ No, signor Giudice, mi consenta, adesso spiego come è andata. Sempre e solo per amor di Verità , che sempre sia lodata. Io ho fatto causa a mio fratello che io credo che si chiami Anacleto Merlino ma non ne sono sicuro e poi perché io credo che lui opini sui paglietta quanto opinavano anche Casanova, Cuoco, Colletta, il principe di Belmonte e pure Walt Disney e Nino Taranto. Comunque i soldi non me li doveva perché avevo sbagliato io le addizioni ma gli ho fatto causa ugualmente senza controllare e così gli dovrò restituire anche i mille che gli avevo portato via prima e sui cui mio fratello però era stato zitto per amore di carità. Sono io che credo lui lo pensi che sono un paglietta, ma non ho uno straccio di prova che provi che lui lo pensi sul serio, e poi intanto non ha le chiavi. E comunque è mio fratello è pure un ladro ma non so bene di cosa, e l’ho pure messo per scritto con tre estranei. Per fortuna che non se ne è ancora accorto sennò … !. Lui sta ancora a cercare la stessa roba di un anno fa e non smette di insistere, ma io faccio finta di niente, come mi ha facoltizzato di fare la mamma !”

“Certo, Avvocato, certo. Ho capito. E’ tutta una questione di buon gusto, articolo 9 sottocomma 3 virgola A. Se la legge non c'è facciamo subito un bel decreto ad hoc, ad personam e pure ad usum Delphini. Non si preoccupi Avvocato. A proposito, lei sa nuotare ? Sa, Avvocato,con tutti questi delfini..! Ma sì, siamo seri. Si condanni suo fratello alla pena capitale, ma solo dopo un passaggio allo spiedo sui carboni ardenti. Trattandosi di un volatile non dimenticate di spiumarlo e regolare il sale. Del supplizio sia fatto un DVD per i familiari assenti da proiettare su Sky per tutta la prossima settimana. Quattro volte al dì almeno, durante i pasti. ”

FLORILEGIUM PAIETTORUM

Sono i paglietti timidi ne' pericoli, vili nelle sventure, plaudenti ad ogni potere, fiduciosi delle astuzie del proprio ingegno, usati a difendere le opinioni più assurde, fortunati nelle discordie, emuli tra loro per mestiere, spesso contrari, sempre amici. Il genere della costoro eloquenza è tra noi cagione di altri disordini: le difese sono parlate, lo scritto raramente accompagna la parola; persuadere i giudici, convincerli o commuoverli, trarre alla sua parte gli ascoltatori, creare a suo pro l’ opinione del maggior numero, momentanea quanto basti a vincere, sono i pregi del discorso; finito il quale si obliano le cose dette, e sol rimane il guadagno ed il vanto della vittoria, tanto maggiori quanto più ingiusti. Da ciò veniva che dell’esagerazione o della menzogna, fuggenti con la voce, non vergognavano gli avvocati; e che i ragionamenti semplici e puri della giurisprudenza si mutavano in aringhe popolari e seduttrici, ed il foro in tribuna. Mali al certo per la giustizia e per i costumi, ma rovina e peste nelle politiche trattazioni e ne' rivolgimenti civili, quando bisognerebbe cagione, verità, freno alla plebe, temperanza di parti; ed invece prevalgono la briga, il mendacio, la licenza, indi l'origine de' mali pubblici.

Pietro Colletta, Storia del Reame di Napoli 1734- 1825
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Ritorniamo ai Paglietti, dai quali ci siamo allontanati, nel cercar la causa della loro esistenza.
Oltre i Paglietti, che rappresentavano in Napoli a quell'epoca lo stato di avvocato e di giureconsulto, un gran numero di nobili e di persone distinte facevansi aggregar alla illustre corporazione, e ciò perchè, siccome molti testatori, conoscevano il caos legale del codice napoletano, così volevano che i loro eredi, onde potessero difendere la fortuna che veniva loro lasciata fossero incorporati fra i Paglietti. ….
Questi paglietti tanto stimati altra volta, sono caduti oggi in disistima completa, ciò che non ha loro impedito di pullulare al segno, che non havvi famiglia che non abbia il suo paglietta, o il suo consigliere. Non si fa a Napoli un acquisto, una vendita, un fitto, una transazione senza che transazione, fitto, vendita o compra sia redatta da un avvocato È inutile dire che i contratti sopra semplice parola d'onore sono sconosciuti, e se si dicesse che presso noi contratti di 200 o 300,000 franchi si fanno, si mantengono e si eseguiscono cori una stretta di mano, colui al quale si raccontasse questa enormità, darebbe del mentitore a quei che vorrebbe fargliela credere.

Alexandre Dumas padre I Borboni a Napoli Libro 1 cap 2

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La mattina del 15 ottobre 1920 don Gennaro ‘o Paglietta’ sputò su un documento. Si trattava del suo stato di famiglia e fu sulla salita di Santa Teresa, sotto una bieca nuvolaglia che soffiava…Don Gennaro sputava sul documento ed ogni tanto si fermava a borbottare: ‘Sissignori, è cosi ! ’

Gennaro Marotta L’oro di Napoli

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Nun fa o’ paglietta ! Nun fa l'Accademia 'e l'ova toste (quando ci si imbatte in discussioni eccessivamente animate per argomenti di futile utilita' e senza arrivare a nessuna conclusione)

Antimo Sebezio Motti e detti napoletani
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«Le noie, e seccature forensi sono state le medesime, anzi maggiori […]. La pratica giornaliera dimostra, che l'esecuzione in questo nostro Paese fa odiose tutte le operazioni più utili, e le avvelena in modo, che si bestemmiano e da chi le ha proposte e da chi le ha ordinate. […] Caro amico, se la nostra Costituzione tutta forense, e litigiosa, e per la quale va tutto a colare il denajo nazionale nella borsa dei Paglietti supremi, medii, ed infimi, non si cangia, e non se ne forma altra veramente politica, e statistica, si starà sempre male, nulla mai otterremo di buono, e ci stropicciaremo il cervello a scrivere e declamare inutilmente». (11 novembre 1792)

Melchiorre Delfico, Lettere. Citate in Carletti "Melchiorre Delfico - Riforme politiche e riflessione teorica di un moderato meridionale"

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Stò pajetta presuntuso
C’à sta dritt’e cumm’an fuso
Né vò juste cammenà
Pajetta, pajetta !

Michelangelo Fagioli, Il Paglietta. Cantata per tenore e archi 1720, Orchestra della Cappella della Pietà dei Turchini

domenica 8 febbraio 2009

WIL PAGLIETTA E LA VILLETTA -2-

“Chi la fa non se l’aspetta “
Dice sempre Wil Paglietta.
Detto facile a smentire
Come lesto vado dire

Strologava un giorno mesto
Sua nipote in ton funesto
“ Già pretende chi mi sposa
Un bel tetto color rosa !

Mamma mia, nonna adorata
Già mi sento sfidanzata !
Senza camere e tinello
Preferisce star zitello!”

Ohibò, disse la Signora
Un rimedio qui s’impera
Di patire per gioventù
Quando mai m’accadrà più ?

Messo mano al portafoglio
Pagò lei l’ambito soglio
Ma col mutuo garantito
S’involò il bel partito !

“Oh vigliacco, o brutta fava !
Se la nonna non pagava
Son sicura che restavi
Nel tugurio dei tuoi avi !

La nipote ogni mattina
Tormentava la nonnina
“Come faccio, dove sbatto
Se non paghi un altro anfratto ?”

Chiusa ormai quella sventura
La nipote ormai matura
Che si sogna sposa in letto
Dove andrà senza alcun tetto ?

“Fermi tutti, arrivo io !
Strepitò da bravo zio
“Una laurea ho ben sudato
Per sanar ogni peccato !

Detto fatto, il vil Caino
S'obliò d’esser piccino
Morto l’avo, sul fratello
Levò subito il randello

“Sporco indegno e pur cialtrone
Vuoi le chiavi del portone ?
Di famiglia è là la sede !
Roba tua, essendo erede ?

“Mai ! Ti dico da avvocato
Il tuo ardire è fin smaccato
Per consiglio di famiglia
Quello va a chi lo piglia

Ma qual comma, ma qual buon senso !
Solo val quel che io penso :
Ragionando da paglietta
Va il palazzo alla diletta

“Già sprecò la poveretta
Di Volpiano la villetta !”
Contraddire provò invano
Chi da tutto era lontano.

C’è fra voi chi può spiegare
Perch’io mai debba pagare
Le pretese a tutto tondo
Di nipoti fuor dal mondo?

L’uno brama il tribunale
L’altra invece lo sponsale
E chi aspira quatto quatto
Alla ciotola del gatto

Ben lo sa chi il gioco mena !
Voi mettete una gran lena
L’un e l’altro a compiacere
Il desiar cui v’improntò

L’uno ambisce a restar quieto
L’altro a fare l’avvocato
Già campar per l’uno è scusa
L’altro soffre per via Susa

Colazione dopo alloggio
Dei suoi soldi fate sfoggio ?
Forse voi le assicurate
Che i suoi torti vendicate ?

Lei per certo ciò s’aspetta
Assai men ch'io il becco metta.
Potrà meglio Wil Paglietta
Le sue ambasce soddisfar ?

Sol chi vale e non richiede
E per giunta è fuori sede
Dispregiato con rancore
E’ guardato con orrore

Troppo lunga fu la farsa
Più non faccio da comparsa
Non mi colse questo lutto
Per veder sprecato il tutto

Allor Wil, (atto funesto !)
Quella causa, non richiesto
Di gran furia, sul più bello
Iniziò contro il fratello

Wil Paglietta pien di sdegno
Si batté con grande impegno
Qual soldato strenuo e ottuso
Perse fama, amici e muso

Per trent’anni dormì male,
Si sognava il tribunale
Con il giudice marpione:
“Avvocato, e st’addizione ?”

Fu fervor procedurale
Ma Paglietta ne uscì male
Mentre nonna ribolliva
La meschina ormai sfioriva

Tal nipote poco accorta
Che avvilita, quasi morta
Senza un tetto né un marito
Rimpiangeva il malpartito

Tribunal lento decide
Ma l'anagrafe procede
Anni assai, forse novanta
Poco val se carta canta

Canta il bollo e la pandetta
Ma la quaglia, che disdetta
Per cantare la vendetta
A quagliar non vuole andar

Il fratello assai villano
Rimaneva ben lontano
Non sottile e neppur bello
Però a Wil lo mise a ombrello

**

Qui si chiude la vendetta
Che muoveva Wil Paglietta
Che atteggiandosi ad esperto
Nuovo dir ha poi scoperto

venerdì 6 febbraio 2009

IL CATASTO E ZEBEDEO

Ciapé pei zebedei. Oppure, come disse il Burchiello, afferrar per li catasti. [1]
E’ un’immagine figurata che risale al basso medioevo, il cui significato è restato inalterato fino ai giorni nostri. Il concetto che sottintende – l’ingannare qualcuno carpendone la fiducia, ed adoperando parole non veritiere con malafede – è una curiosa inversione etimologica del figurato originale. Testis, il testicolo, in lingua latina sta anche per “testimone”. Il teste, colui che at-testa, che conferma, che rafforza la verità di un fatto o di un assunto. Ne sis testis frustra contra proximum tuum..[2]

Il sostantivo latino testis è legato al concetto di “tenere” [3], anche nel senso traslato di “sostenere il diritto”: testes tenere è etimologicamente una tautologia. Nel Vecchio Testamento [4] è menzionato il ricorso, da parte di un servo d’Abramo, all’usanza arcaica di garantire la parola data al suo padrone con l’atto rituale di regger in mano i signorili attributi. D’altra parte, visto che al tempo di Abramo il libro della Bibbia era ancora un work in progress, era giocoforza giurare su qualcosa di diverso, purché sacro e portatile. Inizialmente si è certi che i gingilli fossero quelli altrui, e questo rappresentava un bell’atto di fiducia da parte del proponente. La sacralità di questo gesto era intuitiva e garantita. Poi, con il diffondersi di tribunali e di giurie, cioè organismi privi di attrezzatura propria da affidare al teste, il gesto rituale si è affermato in termini più autoreferenziali, ciascun per sé. Il testimone declamava la propria verità con un braccio levato al cielo, ad invocare i Numi, ponendo l’altro in quella posizione che nei secoli appresso s’affermò come plateale gesto di scongiuro mediterraneo.

Anche su questo aspetto i critici hanno avuto da dibattere: taluni immaginano già al tempo un legame funzionale e concettuale fra il gesto d’invocazione d’un lato, e lo scongiuro dall’altro. Forse un prodromo di quella malafede che si sarebbe diffusa nei secoli bui spingeva già i Latini a cautelarsi ? Il problema di invocare efficacemente il Sacro, ritualizzando validamente il giuramento, in effetti non è più stato efficacemente risolto fino alla pioneristica applicazione dell’invenzione di Gutenberg, che insieme alla più ampia commercializzazione al dettaglio della legna in fascine, ha ristabilito un efficace deterrente per gli inadempienti. Ma questa soluzione su scala storica s’è rivelata inadeguata e provvisoria. La crisi di credibilità del rito, che mal si adattava al diffuso analfabetismo ed al disboscamento riesplose con l’istanza di parità di diritti alle donne e l’islamizzazione progressiva della civiltà occidentale. Solo in alcune pellicole anni Trenta il rito di conferma conserva una minima credibilità scenica, ma è tutto: nella vita d’ogni giorno è caduto nel ridicolo. Nei tempi arcaici, invece, quando la burocrazia tendeva allo funzionalità, più radicalmente né donne né magrebini[5] erano ammessi a testimonianza, ed erano dunque sollevati dalle difficoltà ritualistiche connesse ad una attestazione che sarebbe stato loro arduo validare utroque more.

Dunque, nei tempi che furono il testis, il teste, fisicamente afferrava per li catasti sé o gli altri quando pubblicamente si impegnava a dire il vero. In tutta evidenza, già nel medioevo sembra che i più nutrissero dubbi sull’efficacia probatoria di questo rito, tanto che l’ afferrar per li catasti stava ormai a rappresentare, nell’immaginario collettivo, l’esatto opposto dell’intento originario. E’ una figura classica nell’arte retorica. Si chiama antitesi o contrapposizione: dire qualcosa per intendere il contrario. [6]

Più complesso è ricondurre il concetto di testimonianza alla figura evangelica di Zebedéo, padre dei discepoli Giacomo e Giovanni. Sappiamo di lui solo indirettamente. Per certo la sua storica fama di scarsa brillantezza mentale è del tutto immeritata. Al più, nel dettato evangelico, la figura da testes la incarnano i due figli di Zebedéo, che secondo l’autorevole fonte citata osarono perfino mandare avanti la mamma al posto loro, perché patrocinasse le loro richieste strampalate. Senza che i due bamboccioni siano riusciti d’altro canto ad ottenere che Gesù Cristo modificasse la scarsa opinione che aveva su di loro. Così almeno ci tramanda il verbo di Dio [7] [8].
Gesù Cristo, s’immagina uomo mite e ben educato, non li definì nel modo più icastico che verrebbe spontaneo ad un contemporaneo. I posteri fecero però confusione sulla Divina intenzione, ed attribuirono in toto la dabbenaggine al solo papà, piuttosto che ai due fratelli. Narra infatti il Nobel Saramago che

Giacomo e Giovanni figli di Zebedeo erano due sempliciotti cui per burla si soleva domandare, Chi è il padre dei figli di Zebedeo ? ed i due meschini restavano interdetti, smarriti, e neanche il fatto che conoscessero la risposta perché evidentemente la sapevano, essendo loro i figli, neppure questo risparmiava loro un attimo di perplessità e di angoscia. … La loro semplicità di spirito non era stupidità né ritardo d’ingegno, loro vivevano come se stessero sempre pensando ad altro, ecco perché all’inizio esitavano quando veniva loro domandato come si chiamava il padre dei figli di Zebedéo, e non capivano il perché la gente ridesse così di gusto quando finalmente, trionfalmente rispondevano, Zebedéo! [9]

Il povero pescatore Zebedeo, padre di tanta schiatta continuò dunque a spaccarsi la schiena per la deludente famiglia, ed il suo nome condannato dalla Storia, senza apparente ragione, alla biblica taccia di “tontolone” ovvero di “balosso”. [10] A meno che, e su questo punto diversi illustri critici non trovano accordo, i posteri non abbiano voluto riferirsi specificamente ai due fratelli in senso denigratorio, indirizzando però la loro disapprovazione verso il patronimico, un nome a cui erano collegabili solo in per via presuntiva dato che nemmeno loro stessi erano tanto sicuri dell’essere realmente figli di Zebedeo. Dopotutto, argomenta qualcuno, di biblici Zebedei storicamente non sono due, ma uno solo. E poi, obbiettano ancora i critici, non si poteva certo in quei tempi tacciare di sconsideratezza ed insipienza, sostanziale ed esistenziale, due discepoli futuri Apostoli di Cristo: era meglio giocar di sponda. Chiamando in causa il disgraziato padre, gli antichi avrebbero rinviato così a discendenti ben più tardi, come gli altrettanto noti Ernesto ed Evaristo, l’ingrato fine di figurare come incarnazione umana d’una coppia di scarsa noméa e brillantezza di spirito. I sostenitori di questa interpretazione meno didascalica dell’etimologia biblica di ‘zebedéo’ sono i cosiddetti “contestualizzazionisti”, cosiddetti in quanto contestualizzano teorie e comportamenti politici e sociali moderni, in uno scenario che storicamente non sempre è però in grado di sostenerli appieno in ogni sfumatura ed accezione [11]. E’ però poco accurato definirli ‘i cosiddetti’ tout court, dato che il termine potrebbe portare a confusioni con altre accezioni.

Per questi critici moderni si sarebbe quindi trattato, per così dire, d’una deliberata aberratio ictus da parte dell’Uomo dell’Età di mezzo, che così facendo avrebbe scientemente calunniato figure innocenti, per sua meschina convenienza verbale [12]. In simili spregiudicatezze linguistiche, attizzate dal servile ossequio al potente di turno, i medievali erano esperti ben più di noi che abbiamo dimenticato le necessarie bassezze della vita cortigiana. Con ciò si dimostra che questa, come ogni altra tesi contestualizzazionista, ha un lato debole: se gli scenari storici a confronto sono radicalmente diversi fra loro, ogni ‘contestualizzazione’ è fuori luogo. Per i medievali al contrario gli Apostoli restavano invece sempre Apostoli, muniti d’ogni prerogativa apostolica benché tonti, e pure se la parola di Dio ripetutamente li aveva confermati immeritevoli di stima da parte di chiunque.

Gli antichi non si permettano mai di scherzar coi Santi, come fanno con leggerezza i Moderni. Al più, sfruttavano l’antitesi. Ai loro tempi , infatti, correre il rischio d’essere còlti in flagranza di ‘afferramento di sacri catàsti’ era quanto mai rischioso, tanto più quanto più preziosi e signorili erano i catàsti in questione.

[1] Rime di Domenico di Giovanni, detto il Burchiello (1404–1448), scrittore e drammaturgo rinascimentale

[2] Cfr Liber Proverbiorum, 24-28.

[3] Cfr De Mauro, Dizionario etimologico italiano, “Tèste. D da una radice osca târs – tras (tenere, sostenere). Anche nel senso di “quel che sorregge il diritto altrui”, Corssen e Froehde. Latinismo per testimone.”

[4] Cfr Genesis, 24-9 . “… posuit ergo servus manum sub femore Abraham domini sui et iuravit illi super sermone hoc.”

[5] Né era ammessa, nei tribunali della Serenissima Repubblica, la testimonianza di chioggiotti e marinanti, ancorché maschi e letterati, se non puntualmente confermata da altri due maschi non imparentati entro il quarto grado col testimone. Questa condizione limitativa escludeva l’istituto in pratica la testimonianza nei giudizi presso il tribunale clodiense, senza in evidenza arrecare gran danno all’amministrazione della giustizia locale.

[6] “ La Carfagna ? E’ santa Maria Goretti ! “ Cfr http://sonouningenuo.blogspot.com/2008/07/per-berlusconi-mara-carfagna-come-maria.html sulle dichiarazioni di Berlusconi riguardo l’eccellenza morale del ministro.

[7] Cfr Matteo, 20, 20-22 “.. Allora gli si avvicinò la madre dei figli di Zebedèo con i suoi figli, e si prostrò per chiedergli qualcosa. Egli le disse: "Che cosa vuoi?". Gli rispose: " che questi miei figli siedano uno alla tua destra e uno alla tua sinistra nel tuo regno". Rispose Gesù: "Voi non sapete quello che chiedete ..”

[8] Cfr Marco, 10,34-38 “ E gli si avvicinarono Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedèo, dicendogli: "Maestro, noi vogliamo che tu ci faccia quello che ti chiederemo". Egli disse loro: "Cosa volete che io faccia per voi?". Gli risposero: "Concedici di sedere nella tua gloria uno alla tua destra e uno alla tua sinistra". Gesù disse loro: "Voi non sapete ciò che domandate

[9] J Saramago, “Il Vangelo secondo Gesù Cristo”, Einaudi 2002, apparso con titolo originale “O Evangelho segundo Jesus Christo “, Lisbona 1997

[10] Cfr Marco 1,20 e Matteo 4,21-22 “.. Andando oltre, vide altri due fratelli, Giacomo di Zebedèo e Giovanni suo fratello, che nella barca insieme con Zebedèo, loro padre, riassettavano le reti; e li chiamò. Ed essi subito, lasciata la barca e il padre, lo seguirono..”

[11] Si veda ad es. Scheidel, von Reden “Ancient economy, twenty years after M.Finley“, Routledge, New York 2002 pag 146-147 per una trattazione contestualizzazzionista dell’andamento del prezzo del papiro egizio sul mercato mediterraneo al crollo del monopolio avvenuto in epoca ellenistica.

[12] Nel Codice penale italiano, punibile ai sensi dell’art 82 primo comma, in quanto aberratio ictus monoffensiva.

giovedì 5 febbraio 2009

GRATITUDINE

(Scalinata all’uscita del tribunale cittadino. Un uomo con aria dimessa viene scortato da alcuni gendarmi con l’aria truce, e spinto attraverso una folla inferocita che inveisce al suo indirizzo gridando “Mostro! mostro! ”. Un reporter si avvicina con un piccolo registratore in mano)

REPORTER (rivolto agli astanti) – Un attimo, non spingete ! Sono qui per lavorare ! (rivolto all’uomo) Cosa può dire ai nostri lettori ? Come sta vivendo questo momento, signor Candido ?

CANDIDO – Ma, cosa vuole che le dica ? Siamo nelle mani di Dio, niente altro. Dopotutto di nome io faccio Innocente, Candido Innocente. Un nome, una garanzia: ho fiducia che si risolva anche questo guaio, ecco tutto.

R.- Ma si aspettava mai qualcosa del genere ?

C.I. – No, francamente no. Quando ho visto quella busta per terra, mica ho pensato alle conseguenze. Mi sono detto: Innocente, qui qualcuno ha perso una busta per strada. Insomma, l’ho raccolta.

R. – E poi ? E poi com’è andata ?

C.I. Appena l’ho raccolta ho visto che era pesante, insomma, che non era una letterina d’auguri. Ho guardato se c’era scritto qualcosa sopra, sì che so, un nome, un indirizzo. Macché, niente.

R.- Signor Candido, com’è allora che si è accorto che c’era dentro qualcosa ?

C.I. Beh, che domande, lo guardata, l’ho pesata con la mano. L’ho girata, che so, che non ci fosse un indirizzo dove spedirla … o mi povr’ om, che disgrassia, che maleur l’è rivame ..

R.- Insomma, non ha trovato nulla ? Nessun segno, niente di niente ?

C.I.- Niente. Allora l’ho aperta, sa, mi incuriosiva, la sentivo pesante … Ed è stato allora che ho visto che era piena di biglietti da mille ! ma tanti, sa ? a j'ero propi tanti !

R.- Si, si, questo i nostri lettori già lo sanno ! E cosa ha pensato, cosa ha fatto dopo, signor Candido ? Anzi, possa chiamarla Innocente ?

C.I. – Si si, mi chiami pure Innocente, tutti mi chiamano Innocente, anche in famiglia, anche gli amici. Fin da piccolo, sa, da quando sono nato, mi chiamano tutti Innocente … che fai Innocente con la marmellata in mano ? mi diceva sempre la mia povera mamma …

R. – Si , si, Innocente, va bene. Ma adesso veniamo al sodo. Che hai fatto con la busta ?

C.I. – Beh, mi son detto: Innocente, sono un sacco di soldi. E pensi lei che erano le sei del mattino, non c’era un’anima in giro, lì sul marciapiede io stavo come un allocco, con la busta in mano. Allora mi son detto: Innocente, tu sei un onest’uomo, la busta va restituita ! Si, si, facile a dire, ma restituita a chi che non c’è un nome, un indirizzo, niente di niente ?

R.- Si, si, lo sappiamo. Ma allora che hai fatto ?

C.I. – Io faccio l’ortofrutta al mercato, sa ? Scarico le cassette al mattino, cassette dai camion. Quel giorno come al solito tornavo dal lavoro. Ma lo sa che quando va bene porto a casa seicento euro al mese ? E lì, in quella busta, c’erano tutti quei soldi ... Beh, contacc!, la tentazione m’è venuta. Altroché se mi è venuta … ma poi mi son detto. Noi della famiglia Candido siamo onesti da quando la famiglia sta al mondo, tutti onesti. Manco a pensé ‘na roba parej. Allora ho messo la busta in tasca e mi son detto: Candido, stiamo a vedere che magari domani chiedendo in giro non salta fuori il padrone ed allora gliela restituisco.

R. – Si, si. Allora ha preso la busta e te ne sei tornato a casa ?

C.I. Si, certo, a l’è andaita parej. Sono tornato a casa da mia moglie Frescenclìn. Sa, mia moglie si chiama così perché è di Savona, i Frescenclìn a Savona sono come i Candido a Montenevoso, che ce n’è pieno …

R.- Si, d’accordo, ma non divaghiamo. Come l’ha preso tua moglie ?

C.I. – Eh, eh, Frescenclìn ha fatto un salto. Tutti questi soldi ? E vorresti tenerli, mi ha detto ? Candido sì, ma mica ladro ! Non se ne parla nemmeno, com’è vero che mi chiamo Immacolata Frescenclìn ! noi Frescenclìn siamo persone oneste ! Ed io a dirle: ma no Immacolata, io non so di chi sono ! Non è che rubo, non so come altro fare. Come faccio a restituirli ? Ma lei niente, dura. Van restituiti, mi faceva, e se non si possono restituirli, allora li diamo in beneficenza a far del bene. Questa storia della beneficenza a me non mi è spiaciuta, m’è sembrata una bella cosa. Così siamo usciti e siamo andati dalla vedova Pautasso, quella signora vecchietta con l’aria sempre altezzosa che sta su nell’attico e che ha già sepolto uno zio, un gatto, un marito, la mamma e se va avanti così – poverina lei, che Dio la protegga – è sicuro che fa la festa anche a noi. Dicono che ha sempre bisogno di soldi, che non ha mai lavorato e che tutte le eredità che ha avuto nella vita gliele hanno mangiate i figli ed i nipoti piena com’è di parenti sanguisughe d’attorno … insomma, è proprio una poveretta che ha tanto bisogno, lo dicono tutti. Allora io ed Immacolata ci siamo detti : la vedova Pautasso è la persona giusta per fare beneficenza. Una bella beneficenza da un milione di euro !

R.- Un milione di euro ? C’era davvero un milione di euro dentro la busta ?

C.I. – No, non era proprio un milione tondo. C’era un po’ meno. Ma quando siamo andati su la vedova Pautasso s’è messa a contare le banconote una per una ed il conto l’ha fatto lei, io e Frescenclìn, noi autri suma nen bun-i a fé sté robe. Mi ha detto che erano 999.980 euro e mi fa: ma monsù Candido, proprio da lei un atto così basso e plebeo ? Qui mancavo 20 euro a far cifra, dove sono finiti ? Così ci ho aggiunto io 20 euro di mio perché mi era sembrato che la vedova Pautasso pensasse che ce li eravamo intascati noi … Noi Candido al buon nome ci teniamo …

R.- Caspita ! veramente un buon cuore. E a parte i venti euro la signora Pautasso come l’ha presa ?

C.I. Chi, lei ? bene, bene. Ci ha detto, grazie, grazie siete proprio gentili, mi fa proprio piacere questo milione, è da tanto che non ne vedevo uno. Anzi, mi fa tanto piacere che se ne trovate un altro ci faccio la coppia, sapete come stanno bene insieme come i candelabri nelle finestre degli olandesi. Sa, la vedova Pautasso è una signora tanto distinta, c’ha la casa piena di robe belle del povero zio, della povera mamma, del povero gatto, del povero marito… insomma, ci ha la casa piena di bella roba. Ma poi lei era di fretta che stavano arrivando i parenti e non ci ha fatto nemmeno accomodare. Sa, bisogna capirla la signora Pautasso, con tutti i figli ed i nipoti a pranzo e cena ci ha sempre un gran daffare che non poteva certo trattenerci a lungo con convenevoli. Ci ha ringraziato ancora e così io e Frescenclìn siamo andati a prendere la nostra Cinquecento per andare a fare la spesa.

R.- Ed è stato allora che … ?

C.I. – Eh, si. E’ stato allora che ci siamo accorti che mi avevano messo la multa per divieto di sosta. Per un quarto d’ora, capisce ? Un quarto d’ora e zac!, ‘l civic a l’à ciulame. Ma che ci vuol fare, siamo onesti noi Candido, e quel che è giusto è giusto. Un quarto d’ora c’era tutto, e la multa era meritata.

R.- E poi ? Che avete fatto ?

C.I. – Bah, mi son sentito un po’ baloss. Come, io faccio la beneficenza e ‘l civic a’m ciula ? E così quando siamo rientrati dalla spesa sono tornato dalla vedova Pautasso, che lei ci ha i figli che han studiato, un o è professore, l’altro è pure avvocato. Giusto a sentire che consiglio mi dava …. E allora lei mi ha detto: Innocente, c’as sagrin-a nen, non stìa a preoccuparsi. C’è qui mio figlio Wil che fa l’avvocato. Ci pensa lui alla multa. Anzi, lo chiamo subito. E’ tanto premurosa la vedova Pautasso, sa ?

R.- E così l’avvocato Will Pajetta vi ha fatto togliere la multa !

C.I. Eh, no, magari. L’avvocato Pajetta mi ha fatto andare nel suo studio, mi ha fatto aspettare un bel po’. Perché sa, mi ha detto, son pieno di clienti, ma dovevano essere la causa dell'Uomo invisibile. Poi mi ha detto: l’è roba complicata, una multa di divieto di sosta io l’ho vista arrivare fin in Cassazione, e mica solo una volta ! Uh, mica semplice, è un lavoro lungo, da curarsi .. Sa, c'è il prolegomeno, l'anticausidico e per stare sicuri - e mi ha pure strizzato l'occhio ! - nel nostro interesse insomma, guai a dimenticare il propedeutico maggiore e minore ... Eh eh, molti miei colleghi - e mi ha di nuovo strizzato l'occhio ! - molti miei "sedicenti" colleghi lo scordano, ma io mai mi scordo il propedeutico! Guai a scordarsi che Victa pugnaci jura sub ense iacent. Ma tant lu lì l'è latin, vojautri 'l latin lu capì nén. Ma facciamola semplice così: facciamo una bella causa e ci facciamo dare ragione … E’ così che incominciato tutto (Candido innocente si mette a singhiozzare disperato)

R.- Su su, Candido, fatti coraggio. La vita continua dopotutto …

C.I. – Ma come ? Come continua ? (Candido parla con voce spezzata). E’ vita questa ? ma lo sa, lo sa cosa è successo ? Siamo andati in tribunale per la multa. L’avvocato ha tanto insistito ed è venuta a testimoniare anche Frescenclin, però parlando si è confusa – povera Frescenclin, doveva tenere a mente qual che l’avvocato Pajetta voleva che dicesse, e si confondeva, povera, con l’avvocato che faceva gli occhi di fuoco, e così doveva dire ora bianco ora nero o blé e così ed il giudice mi ha raddoppiato la multa e mi ha pure condannato per stupro di Frescenclìn la prima notte di nozze, venti anni fa ! Cinque anni di galera, mi ha dato, e pure tre a Frescenclìn che giurava e spergiurava che lei c’era, sì, ma non era stata violenza e che anzi a lei non era nemmeno dispiaciuto ma quello l’ha condannata per discorsi osceni in un’aula di tribunale e non c’è stato niente da fare. Allora l’avvocato Pajetta ci ha detto: ho un asso nella manica ! Facciamo ricorso in Cassazione ! Sono un patrocinante in Cassazione io, li metto tutti nel sacco, io ! Oh oh, voglio un po’ vedere io se non li rimetto a posto, io ! Sono o non son un principe del foro ? ci diceva così l’avvocato Pajetta … si, si ma mica ci diceva di che foro era principe … Così ci siamo fidati ed abbiamo fatto ricorso …

R.- E poi, com’è andato il ricorso dell’avvocato Pajetta ?

C.I. (asciugandosi il naso che cola) Il ricorso ? Ah, il ricorso ! Il ricorso è andato che Pajetta ha parlato parlato e a me sembrava che non lo stesse a sentire nessuno, ma poi uno dei giudici ha preso in mano un foglio che aveva scritto Pajetta e credo ci fosse scritto come erano andate le cose, che non avevamo fatto niente di male e che non eravamo colpevoli né per la multa né per lo stupro e che eravamo brave persone e avevamo anche fatto della beneficenza ed allora il giudice ha messo gli occhiali, ha rigirato ben bene il foglio e ha detto: ma lo sa avvocato Pajetta che la pena di morte non c’è più in questo paese ? come si fa a chiedere la pena di morte per i suoi clienti ? Al che l’avvocato Pajetta è sembrato stizzito, s’è messo a batter il piede per terra ed a cominciato a gridare che c’era il fumus, che c’era il fuocus, e pure il reipsa e che tutti ce l’avevano con lui a cominciare da quel porco di suo fratello che doveva far interdire trenta anni fa e che adesso semina zizzania … Insomma ha fatto una cagnara, ma una cagnara che alla fine il giudice s’è commosso e la pena di morte l’hanno messa su solo per me. E’ stato un bel successo, non le pare ? certo, un avvocato come Pajetta non è mica uno sprovveduto, il suo lo sa fare.

R.- E’ questa, è questa la storia che volevano sentire i nostri lettori. Grazie, Innocente, grazie del tuo contributo. E tanti auguri.

C.I. – (Innocente Candido sorride stentatamente, mentre la folla riprende ad inveire contro di lui) Grazie, grazie a voi. Speriamo finisca bene, come è cominciata.

(I due gendarmi lo trascinano verso una forca)

WIL PAGLIETTA E L’ARITMETICA -1-

Qui comincia la farsetta
del maligno Wil Paglietta
per mirar il fine amato
d’avvocato esser chiamato

- Il busillis è qui, perfetto -
Disse un giorno soddisfatto
- Faccio causa a mio fratello:
Già mi atteggio a laureato ! -

Si lanciò senza ritegno
Wil Paglietta pien di sdegno
Declamando assai involuto
- Brutto ladro ! ci hai fottuto !

- Hai fregato la mammina
Che mi sazia ogni mattina
La mammina che mi ha dato
Sei locali da avvocato

In cucina io m’adatto
Per il resto poi l’affitto
Ai colleghi più allenati
A sudar sugli allegati …

-Tu fratello iniquo e indegno
Che la mamma spregi in cuor
Non ti curi delle spese
Che mi tocca d’affrontar ! -

-Son ben cento gli euro evasi
men d’ottanta quelli resi
già cinquanta quelli spesi
giusto mille quei che chiesi -

- Rara avis,cave cane
Come il grano ci dà il pane
Se le Leggi non son vane
Che la Corte si compiaccia,

Mio fratello condannare
Alla pena capitale
E il valsente rimanente
Alla mamma rispedir -

Così scrisse a suo fratello
dopo averci un po’ pensato
ed aggiunse ancora a lato
un suo cruccio esistenziale


- La mia amata Benedetta
Figlia invero prediletta
non mi chiamerà papà
se all’école non tornerà -

- Ha ragione la mammina
Che mi sazia ogni mattina
Che mi alberga là in via Susa
Manigoldo, lei ti accusa ! -

- Come faccio, o mal fratello
A scrollarmi un tal fardello
Se la mamma gretta e ottusa
Mi privasse di via Susa ? -

- Quale avida faina
Ti dipinge la mammina
Ciò premesso; al suo ben dire,
Credi forse di sfuggire ? -

- Ecco qua, fratel pezzente
Che vaneggi qual demente
(Due più tre fan otto o venti ? )
Mal contato, ecco un milione ! -

- Tieni dunque questo assegno
Che ti spetta ancorché indegno
Taci dunque o gran marpione
Sì ch’io agguanti il malloppone -

- Voglio fare il buon papà,
tengo a cuore la rettà
Il successo va guardato
Il denaro va mostrato ! -

Così scrisse Wil Paglietta
Un bel dì piuttosto in fretta
Imbucò la sua missiva
Poi satollo rincasò.

Qui ci chiude la farsetta
Del maligno Wil Paglietta
Che brandendo il suo milione
Passò solo per c… .